Trama
In occasione della prima retrospettiva delle sue opere, la pittrice Elaine Risley torna a Toronto, la città dove è cresciuta. È trascorso molto tempo da quando se ne è andata e mentre osserva con occhio critico i cambiamenti nella città, ripercorre gli anni della sua giovinezza, guardandoli come attraverso il suo occhio di gatto, quella biglia multicolore che da bambina teneva sempre con sé e che adesso, come un caleidoscopio, le permette di vedere il mondo sotto le sue molteplici sfaccettature. Riemergono così, con lancinante chiarezza, momenti e atmosfere di un passato difficile e mai dimenticato: l’infanzia girovaga al seguito del padre entomologo, il controverso rapporto con la madre e il fratello e soprattutto gli spettri di un’amicizia solida ma ambigua con la compagna di scuola Cordelia. Sconfiggere il fantasma delle violenze e dei soprusi subiti non sarà facile ma necessario: Elaine potrà farlo solo a patto di esplorare le radici della sua personalità e smuovere gli strati sommersi della propria coscienza. Con la sua straordinaria capacità di leggere nelle mente dei personaggi, Margaret Atwood ci guida nelle profondità del cuore e della mente, rivelando emozioni ed esperienze legate a un periodo fondamentale della vita di tutti noi: l’infanzia.
Recensione
Se mi chiedessero cosa mi piace di Margaret Atwood, risponderei sicuramente la sua capacità di scrivere libri apparentemente senza trama di senso compiuto, ma che poi una volta terminati ti lasciano la sensazione di aver vissuto altre vite.
A parte pochi eletti, tutti i suoi libri sono così per me: io molte volte non riesco a capirci niente per la prima metà, dopo di che tutto il significato si fionda su di me e mi avvolge completamente.
“Occhio di gatto” è proprio uno di quei libri che danno la sensazione di raccontare una storia semplice, ma poi c’è molto di più.
La protagonista di questo libro ci racconta della sua infanzia in una maniera a dir poco unica, ovvero con gli occhi di chi passa dall’essere vittima all’essere un’amica dei suoi carnefici. Elaine diventa una pittrice, una forte figura femminile che tutti si sforzano di interpretare. La cosa che mi ha colpito di più dell’intero libro è proprio un pezzo in cui si racconta di un’intervista che le fa una giornalista: quest’ultima prova in tutti i modi a far uscire i lati femministi di Elaine, apparentemente senza successo.
In realtà il femminismo di questa donna sta proprio nel non definirsi tale: lei è, semplicemente. Non serve nient’altro.
I suoi dipinti sono, semplicemente. Non servono spiegazioni.
Un’immagine di sua madre che lava i piatti non è una rappresentazione della società moderna sbagliata, non è una denuncia per i diritti delle donne. Un’immagine di sua madre che lava i piatti è semplicemente un ricordo.
Margaret non smette mai di stupirmi. Non so neanche spiegare perché mi piaccia, semplicemente mi piace.
Lei è. Proprio come la protagonista che ha creato.